Fede e ragione: cristianesimo  e filosofia tra Agostino e Tommaso

Appunti per le lezioni. (nz)

La predicazione del vangelo arriva a Roma in un momento di crisi religiosa e culturale ma anche politica, militare (barbari e persiani) ed economica. 

Nel II sec. La diffusione delle chiese cristiane cresce malgrado l’ostilità dell’impero: Minacciava l’ordine religioso, morale e sociale. Il primo a perseguitare i cristiani fu Nerone. I 4 editti di Diocleziano (303-4) iniziarono la più grave persecuzione, ma fu l’ultima. 

Nel 313 l’editto di Costantino concede la libertà di culto. Inizia il sodalizio stato-chiesa: l’uno trova un nuovo elemento di coesione, l’altra trova protezione e mezzi materiali.

Nel 380, con l’ Editto di Tessalonica, il cristianesimo diventa religione di stato.

La chiesa intanto si era organizzata: vescovi, patriarchi (su tutti quello di Roma) diventano autorità politiche.

Il clero si stacca dai fedeli e si invischia sempre più in problemi teologici: la lotta alle eresie e la definizione graduale dell’ortodossia richiedono una precisazione più accurata dei nuclei teorici del cristianesimo (mondo, verità, rivelazione, umanità, sacro…) soprattutto nel confronto con l’eredità filosofica classica greca ed ellenistica.

Agostino (354-430), da una vita dissoluta risale alla necessità di una riflessione sull’uomo che è interrogare se stesso.

Da ciò ricava che il male è elemento ineliminalbile della natura umana: a causa del peccato originale, l’uomo vive necessariamente nell’errore ma nel contempo è spinto dall’anelito a sottrarvisi. Di qui l’inquetudine come  tratto caratteristico della condizione umana.

Ma se la condanna all’errore è divina, l’uomo non ha scelta, non ha libertà… non ha responsabilità. Agostino perciò arriva a un contraddittorio concetto di peccato senza volontà, che quindi esclude la colpa del peccatore. E così esclude anche la possibilità di salvarsi da solo. E’ solo l’imperscrutabile giudizio di Dio a condannare o a salvare l’uomo.

E’ necessario distinguere tra libertà (persa col peccato originale) e libero arbitrio (origine delle scelte umane)  (Rif. a Erasmo vs Lutero)

E questo  l’uomo non lo può comprendere, ne salvarsi: gli resta solo la via della sottomisssione.

Si può solo accogliere la rivelazione: la via della fede (che però è anch’essa grazia!)

La prova dell’esistenza di Dio: L’uomo può rivolgersi a Dio solo in forma mediata, solo guardando dentro se stesso. Deve però esistere necessariamente un criterio per giudicare se la nostra ragione è nel vero o nell’errore: un criterio a cui la ragione è sottoposta e che perciò viene da Dio, è Dio.

Dio allora è ente supremo e, in quanto ci guida al bene, è anche fine ultimo.

Fede e ragione: Teologia negativa: “nell’anima non c’è sapere, se non il sapere di non sapere Dio”.

Comprensione per analogia: nel creato si possono ritrovare le tracce del creatore.  La ragione insomma ci può dare solo poche, vaghe e incomplete nozioni. La verità è cosa di Dio che è innanzitutto creatore. Ed è questo, in ultima analisi, il postulato fondamentale della filosofia di Agostino, che è rivendicazione della coincidenza di cristianesimo e verità. Non c’è contraddizione tra ragione e fede: entrambe hanno fondamento in dio creatore.

La Storia stessa è atto di creazione di Dio: inizia con la caduta di Lucifero, il suo centro è la venuta di Cristo e finirà nel giudizio universale. E’ il teatro della lotta tra il regno di Dio e il regno del mondo e del diavolo.

Dio allora ha creato anche il male? Si e no: tutto ciò che è creato è -proprio per questo – bene. Ma non è il bene. Il creato è finito e corruttibile: il male è mancanza o corruzione, consunzione del bene.

Tra il X e il XIII sec., dopo secoli di oblio, soprattutto grazie ai commenti di pensatori arabi ed ebrei si assiste ad una riscoperta di Aristotele, il che mal si concilia con i dogmi e l’impostazione del pensiero cristiano.

La scolastica è il tentativo di conciliare questi due mondi così diversi: la ragione e la rivelazione.

La dottrina della “doppia verità” (Sigieri di Brabante, 1240-84) che non potendo conciliare fede e ragione le vorrebbe far sussistere l’una accanto all’altra come indipendenti.

L’esemplarismo (Bonaventura, 1217-74) ritiene che in Dio vi siano le idee essemplari di tutto il mondo, che ne rappresenta l’eco o l’immagine e che va “contemplato”: la negazione di Dio è origine di tutti gli errori di Aristotele.

Tommaso (1225-1274) si sforza invece di operare una sintesi: riprendendo le dottrine di atto e potenza, materia e forma, sostanza e accidenti ecc. ma anche rielaborando posizioni platoniche, neoplatoniche e arabe, giunge a porre la metafisica dell’essere come somma perfezione a pilastro della sua filosofia e della sua teologia: l’essere è non solo il primo e generalissimo concetto che ha l’uomo, ma anche la perfezione suprema di ogni cosa.

Dio è “colui che è”. Se Dio è l’essere, il creato ha l’essere, il che ne sottolinea l’incolmabile distanza, ma pure ne mostra l’intimo legame, che è anche rapporto di analogia.

Nella gerarchia degli esseri l’uomo è il solo in grado di risalire, a partire dalla conoscenza degli esseri inferiori (effetti), fino alla realtà divina(causa): di qui le 5 prove razionali dell’esistenza di dio. (moto, causa, ordine, contingenza, perfezione).

Ma di Dio, l’uomo, in quanto inferiore, avrà conoscenza inadeguata e incompleta. Per questo deve affidarsi alla rivelazione (la quale però è ora saldamente collegata con la ragione)

Rivelazione, ragione e natura provengono tutte da Dio e in ciò non possono contraddirsi: Dio (causa prima) non ci illumina direttamente (come voleva la tradizione platonico-agostiniana), ma indirettamente, donandoci la ragione: con la quale possiamo conoscere la natura (mondo delle cause seconde, e non più spazio delle libere azioni di Dio), elevarci a Dio ed accoglierne la rivelazione.

Il concetto aristotelico di natura è centrale anche nella riflessione antropologica di Tommaso: l’uomo è corpo (accidente) e anima (sostanza).

Così  anche nella riflessione morale, riesce a conciliare l’etica cristiana, finalistica e fondata sulla legge divina con l’etica aristotelica razionale e fondata sulle leggi della natura: se la natura (e le sue leggi) è opera di Dio, seguire le leggi naturali è seguire la volontà di Dio.

Filosofia e teologia insomma sono solo due modi di guardare alle cose che però convergono a identiche verità in funzione dell’unitarietà di tutte le cose in Dio.

copyleft nicola zuin 2009

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