l’Editto di Nantes (1598)

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L’editto di Nantes fu un decreto emanato dal re Enrico IV il 30 aprile 1598 che pose termine alla serie di guerre di religione che avevano devastato la Francia dal 1562 al 1598, regolando la posizione degli ugonotti (calvinisti). Esso fu revocato nel 1685 da Luigi XIV (editto di Fontainebleau).

Enrico, per grazia di Dio, Re di Francia e di Navarra, a tutti i presenti e posteri, salute.

Tra le infinite grazie, che a Dio è piaciuto dispensarci, una delle più significative e notevoli é quella di averci dato la forza di non soccombere ai terribili turbamenti e disordini che esistevano quando salimmo al trono di questo Regno, diviso in tanti partiti e fazioni, che la più giusta di essere era in minoranza, e di averci nondimeno fortificati contro questa afflizione, che infine la superammo e ora abbiamo raggiunto il porto della salvezza e delle pace di Stato.

Articolo I: In primo luogo che sia estinto il ricordo di qualsiasi azione compiuta dalle due parti del principio del mese di marzo 1585, fino alla nostra accessione alla Corona e durante gli altri precedenti disordini e al loro scoppio, come se nulla fosse mai accaduto. E non sarà legale ne sarà concesso ai nostri Procuratori generali, né ad altre persone in alcun tempo o sotto alcun pretesto, di istituire un caso, un processo o una azione in alcuna Corte o Tribunale giudiziario in riferimento a tali azioni.

Articolo 2: noi proibiamo a tutti i nostri sudditi di qualsiasi rango o condizione di rinnovare il ricordo di tali fatti, di attaccare, osteggiare, insultare, provocare vicendevolmente a rivendicazione del passato, qualunque ne sia la ragione o il pretesto o di litigare, discutere o contendere intorno a ciò, o di oltraggiare o d’offendere con fatti con parole, ma esortiamo tutti a vivere in pace come fratelli, amici e concittadini, come sudditi leali di uno stesso Re, sotto pena di punizione come perturbatori della pace e della quiete pubblica.

Articolo 3: noi ordiniamo che la religione cattolica apostolica romana sia restaurata e ristabilite in tutti i luoghi e i distretti del nostro Regno e delle terre sotto il nostro dominio, nei quali la sua pratica è stata interrotta a forza, così che vi sia professata in pace e liberamente, senza disordini od opposizione. Vietiamo espressamente a qualunque persona, di qualunque rango o condizione, di turbare, importunare  o causare molestie ai sacerdoti nella celebrazione dei riti romani, nel ricevimento e godimento di  decime, pensioni e rendite dei loro benefici. E proibiamo espressamente, a coloro della cosiddetta religione riformata, di tenere adunanze religiose o altre devozioni della suddetta religione in chiese, abitazioni e case dei suddetti ecclesiastici romani o nei loro pressi.

Articolo 6: al fine di eliminare ogni causa di discordie o contese tra i nostri sudditi, noi abbiamo concesso e concediamo a quelli della cosiddetta religione riformata di vivere e risiedere in tutte le città e i distretti del nostro Regno e dei nostri domini, senza che siano importunati, disturbati, molestati o costretti a compiere alcunché contro la loro coscienza riguarda la religione o di essere aperta a causa perseguiti nelle loro case e distretti, dove desiderano vivere, a patto che essi si conducono per il resto secondo le clausole del presente editto.

Articolo 9: concediamo pure a quelli della suddetta religione riformata di proseguirne e coltivarne la pratica nella città e distretti sotto il nostro dominio, in cui era stata istituita e messa in atto pubblicamente parecchie distinte volte nell’anno 1596 e nell’anno 1597, sino alla fine del mese di agosto, nonostante ogni decreto o sentenza in contrario.

Articolo 10: tali diritti e privilegi dei seguaci della cosiddetta religione riformata  si intendono come effettivi nel privato delle loro case su tutto il territorio del Regno, con l’ eccezione del Comune di Parigi, ove proibiamo espressamente a detti seguaci di professare pubblicamente e privatamente la loro religione ed i loro riti e devozioni.

Articolo 13: proibiamo altresì a tutti gli appartenenti alla suddetta religione di professarla, per quanto riguarda magistero, regola, disciplina o pubblica istruzione di ragazzi o adulti, in questo nostro Regno e nei nostri domini, in materie concernenti la religione, fuori dai luoghi permessi e concessi dal presente editto.

Articolo 23: ordiniamo che non vi sia alcuna differenza o distinzione, a causa della suddetta religione riformata, nella accettazione degli studenti in università, con leggi e scuole, o dai malati e poveri in ospedali, infermeria e pubbliche istituzioni di carità.

Articolo 27 : noi dichiariamo che tutti coloro che professeranno la suddetta religione riformata, possono tenere ed esercitare a ogni posizione pubblica, onore, carica, servizio qualsiasi, reale, feudale, od altre cariche nelle città del nostro Regno, paesi, terre e signorie hanno i soggetti, nonostante ogni altro giuramento contrario, e devono esservi ammessi e accolti senza distinzioni; sarà sufficiente per le nostre Corti di Parlamento e per gli altri giudici, indagare e accertarsi sulla rettitudine e l’onesto comportamento di coloro, che sono destinati alle cariche, sia di una religione che dall’altra, senza esigere da essi altro giuramento che non sia quello di servire bene e fedelmente la Francia ed il suo Re e di mantenere ed osservare le Nostre Leggi e disposizioni. Quando si rendessero vacanti le suddette posizioni, funzioni e cariche, nondimeno noi senza pregiudizio o discriminazione alcuna delle persone capaci, come richiede l’unità dei nostri sudditi, concederemo tali cariche agli effettivi meritevoli, senza altra distinzione che la capacità.

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